ISPROM
ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI
PER IL MEDITERRANEO
CITTà DEL MEDITERRANEO
iNCONTRO PROGRAMMATICO PER LA COOPERAZIONE
Sassari,
2 - 3 dicembre 2016
Le vie della cooperazione e della
pace negli obiettivi della Santa Sede e della Conférence permanente con particolare
riferimento all’area mediorientale
RAFFAELE COPPOLA
Promotore di Giustizia
della Santa Sede
SOMMARIO: 1. Lo spirito
mediterraneo. –
2. Le città come elemento
costitutivo delle Nazioni. – 3. Dualismo e monismi religiosi. – 4. La pace e la cooperazione in Terrasanta.
Il giovane e autorevole Sindaco di Gallipoli Stefano Minerva,
Presidente della Commissione della Conférence Permanente des Villes Historiques
de la Méditerranèe, ha ricordato l'art. 3 dello
Statuto dell’Associazione, che parla di città storiche soprattutto piccole
e medie, proprio sul modello di Gallipoli. “Storiche” perché il
fenomeno delle città deve essere correttamente collegato così alla geografia
come alla storia; “piccole e medie” perché in esse è dato far emergere più
facilmente, o meno difficilmente, lo spirito originario delle città
mediterranee, non necessariamente situate in territori rivieraschi se la
dimensione prevalente, accolta dalla Conferenza permanente, è quella
“culturale” nel senso più giusto del termine.
Il Mediterraneo è, come si legge in un brano famoso, “mille cose
allo stesso tempo”. Non è solo un paesaggio, ma numerosi paesaggi, “non è un
mare, ma una successione di mari, non una civiltà, ma
civiltà ammassate le une sulle altre” (Braudel).
Il Mediterraneo - qualcuno ha aggiunto efficacemente - è anche il mare di tante
e differenti storie religiose: da molto più di un millennio “è il mare dove si incrociano, si scontrano e coabitano cristiani,
musulmani ed ebrei” (Riccardi).
Vorrei insistere, da Promotore di Giustizia della Santa Sede, in
particolare della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano, sulla
coabitazione, civile e religiosa, nonostante le esperienze negative del passato
ed i bagliori di guerra, che non cessano pure nel
presente. Nella visione della Conference Permanente
e dell’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo (ISPROM), dove ha
sede la Segreteria della Conferenza, nella concezione di un gruppo di docenti
universitari (al quale mi onoro di appartenere al pari
dei Prof.ri Catalano e Lobrano), che mirano a rinnovare l’alleanza fra città e
Università del Mediterraneo, il mondo antico era “marecentrico”
ed il mare al centro del mondo era il Mediterraneo.
Lungo le coste di questo mare la presenza delle religioni è
profondamente radicata, al punto che l'odierno loro
protagonismo va riguardato, piuttosto che come un fatto recente, quale prodotto
di una lunga storia, che vede sempre più l'emergere di una nuova componente, il
secolarismo, originato dallo spirito dei Lumi, a cui si riconnette
l'idea di laicità dello Stato, inteso quale corporazione istituzionale.
Come sappiamo, la storia antica è una
storia di tensione verso una unità del mondo allora conosciuto, molto meno
esteso di quello di oggi, sul fondamento della identità e della centralità del
Mediterraneo. Nella fase storica contemporanea, in primo luogo attraverso le
città ma anche attraverso le altre forme di autonomia, il Mediterraneo si
riscopre luogo delle confluenze geografica, economica,
politica e, non da ultimo, religiosa di continenti e di popoli, postulando
nuovamente una politica mediterranea (a raggio notevolmente più allargato), non
imposta dall’esterno ma fatta dai popoli dei tre continenti che si affacciano
sul Mediterraneo.
Anche la politica estera, lo abbiamo visto in concreto a Betlemme
ed a Gerusalemme, può essere praticata non unicamente
dai vertici ma pure dal basso, o meglio dalla base, costituita appunto dalle
città, naturalmente senza misconoscere i compiti ed il ruolo propri dello
Stato, anzi postulando una efficace cooperazione tra i diversi livelli di
autonomia da una parte e gli Stati dall’altra.
Alla radice di tale prospettiva c’è una intuizione
di Giorgio La Pira. Sul frontespizio del volume “Da Betlemme a Gallipoli –
Patrimonio Mondiale dell’Unesco” che figura tra le pubblicazioni della Conférence Permanente, si legge una frase dello
stesso, che rappresenta un’ipotesi di ricerca ed
insieme d’insegnamento dell’insigne romanista, formulata negli anni cinquanta
del secolo breve. “Unire le città per unire le nazioni”, a
cui si aggiunge un’altra frase, sempre di La Pira, la quale consente di
cogliere meglio le idealità e gli obiettivi della Conferenza permanente delle
città storiche del Mediterraneo: “Sanare le città per sanare le nazioni” anche
dal punto di vista della salvaguardia dei valori religiosi, espliciti ed
impliciti, intesi come strumenti di coesione, come valori identitari e
accoglienti in funzione della cooperazione e della pace, non come mezzi
d'imposizione di una determinata fede o di sopraffazione delle coscienze.
Le affermazioni di La Pira esprimono una teoria complessa del
diritto pubblico, che può essere sinteticamente articolata in alcune
proposizioni, che espongo sintetizzando il pensiero del Segretario esecutivo
della Conférence Permanente, Prof. Giovanni Lobrano.
La città è l’elemento costitutivo delle nazioni ed essa è dotata
di forma essenziale, non soltanto di una “faccia” e di una competenza interna
ma altresì di una “faccia” e di una competenza esterna, dalla quale,
addirittura, occorre prendere le mosse. Ne consegue la possibilità, direi anzi
l’esigenza, di una politica a misura e regola delle
città sia nelle relazioni esterne sia in quelle interne a ciascuna città.
Questa politica, poi, è l’unica possibile, anzi necessaria all’interno e
all’esterno di ciascuna nazione e di tutte le nazioni.
Insomma, rovesciando i termini del fenomeno odierno – ancora da
studiare e spesso iniquo – della globalizzazione, non dovrebbero essere i
problemi del mondo a condizionare il governo delle singole nazioni e, in
particolare, delle singole città, ma, stando all’intuizione profetica di La
Pira, sono i problemi mondiali a dover esser affrontati dal
di dentro della città-repubblica (urbs civitas), con il suo metodo specifico;
in altri termini, l’invito è ad affrontare i problemi della città come problemi mondiali, anzi universali.
Da ciò, la constatazione del fenomeno positivo della
“risorgenza” in Europa e persino nel mondo intero, anche per la realizzazione
di un’ originale “cooperazione decentrata”, del ruolo
politico delle città e delle reti di città, che costituiscono il modo
“mediterraneo, concreto, repubblicano-democratico e solidale” di concepire lo Stato (insomma un
sistema costituzionale “altro”), che ha radici proprio nel diritto romano e si
oppone alla forma di Stato, in crisi e produttiva di divisioni, forgiata sul
modello inglese. Le città storiche, in particolare, conservano nei propri
“centri storici”, nelle geometrie dei propri edifici (continentia aedificia) e muri i codici urbani delle istituzioni civiche e viceversa; esse
sono depositarie di una parte importante della scienza necessaria e – come
degli “analfabeti di ritorno” – dobbiamo daccapo imparare a leggerla (Lobrano).
Dal confronto dei tre monoteismi con la concezione laica dello
Stato indubbiamente emerge, nell'ottica tradizionale, che la separazione dei
due poteri (civile e religioso) è un'acquisizione del mondo occidentale. Che anzi,
a fronte delle difficoltà della suddetta concezione nel Medio Oriente
contemporaneo, musulmano ed ebraico (non da ultimo per la crescente influenza
dei movimenti religiosi radicali o fondamentalisti), il cristianesimo e in
particolare la Chiesa cattolica (molto meno il mondo ortodosso) hanno saputo
esorcizzare il “fantasma laico”, venendo gradualmente a patti con esso,
specialmente dopo il Concilio Vaticano II.
Certo, il confronto dialettico si stempererebbe ove fosse
riconosciuto in maniera più consistente il protagonismo delle città, in ispecie
delle città “storiche”, attraversate da problemi concreti di testimonianza, di
vita e di sopravvivenza che le avvicinano alle persone fisiche, ai singoli
individui, a quegli spiriti liberi che non si riconoscono nelle ideologie
misurate e spesso strumentali, professate dagli apparati statuali
o dalle élites di intellettuali, di
sinistra o di destra.
La complessità della realtà istituzionale, come emerge dal
modello vivo della Conférence Permanente des
Villes Historiques de la Méditerranée, conduce fuori della rigidità degli schemi
dello Stato confessionale e dello Stato laico anche in rapporto al
cristianesimo. Avevo e continuo ad avere a modello la città per antonomasia,
cioè la civitas romana, le linee di evoluzione
segnate dalle alterne vicende non solo dei poteri politici ed economici ma
anche di quelli militari e religiosi.
Andrebbe tuttavia riconosciuto che sino al cristianesimo, e
all'infuori in particolare del cattolicesimo, lo Stato con le sue istituzioni
portanti è insieme “Chiesa” ed il sovrano è pure il
diretto ed unico rappresentante della potestà divina. Con l'avvento della
Chiesa nel mondo questa situazione è cessata e da ciò sono scaturiti tutti i
diritti individuali, è sorto tutto il mondo moderno, tutta la civiltà di cui i
c.d. “laicisti” vorrebbero rivendicare i pretesi
diritti proprio contro la Chiesa, che ne è madre ed autrice (Giacchi).
Forse è possibile ravvisare in questa posizione un intento
apologetico, ma è pur vero, da una parte, che Israele non ha ancora risolto il
contenzioso fra i fondatori dello Stato ed i religiosi
(Poulat), conservando i caratteri
dello Stato confessionale non aperto verso nuovi modelli o, quanto meno, di una
molto problematica laicità, mentre, dall'altra, i rapporti fra Islam e
istituzioni politiche nell'area mediterranea rivelano una concezione
tendenzialmente monista, esattamente l’opposto del menzionato sistema, proprio
della tradizione politico-giuridica occidentale (Catalano – Siniscalco), del
dualismo di vincoli e di funzioni, che si riconduce comunemente a Gelasio I
(494 d.C.) ed, ancor prima, allo stesso Fondatore della Chiesa (Mt. 22,21). In
forza di esso il confronto fra «le due spade», fra sacerdotium
e imperium o, meglio,
fra potere religioso e potere civile-politico, nelle diverse articolazioni, è
stato continuo, estremamente complesso e non infrequentemente conflittuale,
onde affermare, con i mezzi di volta in volta consentiti, la supremazia
dell’uno sull’altro e viceversa (Gaudemet).
Occorre certo sfatare il mito dell’assoluta chiusura dei Paesi
della riva sud del Mar Mediterraneo alla separazione della sfera politica da
quella religiosa, le tesi estreme secondo cui in essi siano del tutto
inconcepibili, in atto od in prospettiva, qualsiasi
forma di laicità dello Stato o delle civiche istituzioni e, conseguentemente,
«il pluralismo dei culti, la concorrenza ideologica e la tolleranza nei
confronti dell’indifferenza religiosa e dell’ateismo» (Charfi).
Nondimeno, la legge sacra dell’Islam e l’ordine politico
islamico, con la varietà di posizioni che è possibile verificare, rappresentano
una realtà imprescindibile in tutti i Paesi mediorientali, non comparabile con
l’atteggiamento dei Paesi della riva nord (europeo-cristiana) e di quelli
occidentali in generale, tanto più perché occorre prendere atto dell’aperta
reazione alle tendenze laiciste, registrata in questi ultimi anni anche sotto
la spinta dei richiamati movimenti fondamentalisti.
Non poche incrinature è possibile
notare perfino in Turchia, pur trattandosi di un Paese dove è stato formalmente
adottato il principio giuridico della separazione fra religione ed apparato
statale (Lewis), specialmente ai
nostri giorni, in cui si assiste ad una messa in discussione, popolare e
politica, dell'impianto voluto da Mustafa Kemal Atatürk, fondatore e primo
Presidente della Repubblica turca (1923-1938). Il principio dualistico, nel
senso recepito dalla tradizione occidentale, subisce incrinature o correzioni
anche nei Paesi dove la religione ortodossa e la religione
maggioritaria, pur respirando la Chiesa universale, secondo la bella immagine
del pensatore russo V. Ivanov (1866-1949), con i due
polmoni della spiritualità orientale e di quella latina.
Da quanto esposto vengono alla luce
importanti riferimenti per una ricerca storico-giuridica su un mondo in cui
libertà di coscienza, rete delle autonomie, città e religioni appaiono come
protagonisti in funzione della cooperazione, della coesistenza e della pace. Si
tratta di un àmbito in cui, ancora una volta, la Chiesa cattolica, anche nelle
articolazioni locali, gioca un ruolo imprescindibile, differente dagli altri
monoteismi e, comunque, da qualsiasi altra religione, non vantando essi una personalità internazionale “diffusa” in qualche modo
assimilabile, sia pure latamente, a quella della Santa Sede nei suoi
svolgimenti odierni (Petroncelli Hübler).
È stato così possibile alla stessa contribuire decisivamente ad un cambiamento del modo di vedere il diritto internazionale,
un mutamento che è sotto gli occhi di tutti, anche al di fuori del bacino del
Mar Mediterraneo. Abbandonato il vecchio modello di Westfalia,
l'ordine internazionale sempre più sembra orientarsi sul differente modello
della Carta delle Nazioni Uninte, dal quale emergono “il valore della pace, il rispetto dei diritti
umani, l'autodeterminazione dei popoli, l'uguaglianza sovrana degli Stati, la
buona fede, la cooperazione internazionale” (Dalla
Torre – Boni).
Con riguardo alla Terrasanta vi è sostanziale coincidenza fra
gli obiettivi della Santa Sede e quelli della Conférence
Permanente. Essi sono, per l'area che ora interessa, il consolidamento del
processo di pace nel pericoloso focolaio mediorientale (al centro dei conflitti
armati oggi esistenti nel mondo); la presenza cristiana in Terra Santa;
l’abbattimento del muro della divisione etnica e politica, che pone in stato
d'assedio Betlemme e tutte le città della Palestina; la difesa e la
valorizzazione di Betlemme (occorre
continuare a seguire, perciò, la sua stella secondo l'insegnamento di La
Pira), nel
quadro, come ho detto, della visione di
una politica estera che muove dal basso,
cioè anche dalle città, oltre che dai vertici politici internazionali e dagli
Stati.
In quest’ottica il XII Seminario internazionale della Conférence, ove si accolgano i nostri auspici,
potrebbe essere dedicato alla disamina del punto di vista delle
città del Mediterraneo in merito alla prospettiva di ricognizione del quadro
giuridico del debito fra ONU e Corte Internazionale di Giustizia, come
ventilato dal Sindaco di Gallipoli nell’evidenziare incisivamente i possibili
scenari del dopo referendum in Italia.
Ove si desideri, conclusivamente, un’indicazione sul segnale
politico di fondo delle varie edizioni dei concerti
per la pace, sorti nell'alveo della Conferenza Permanente e attualmente gestiti
in spirito di collaborazione dall'Associazione per la vita e per la pace di
Valmontone, del piano regolatore generale (Master
Plan) di Betlemme e del complesso
progetto della Conférence,
dell’ISPROM e (credo) dell’Istituto dell’Europa dell’Accademia delle scienze di
Russia per la Palestina, si può
rispondere, almeno a mio avviso, che essi testimoniano la volontà di esistere
del popolo palestinese e dei suoi organismi istituzionali. Non più uno Stato
che domina una popolazione, rappresentata da una debole Autorità,
ma due Stati (speriamo non accentratori) con piena dignità sul piano
politico, secondo una strada che gli stessi Stati Uniti (notoriamente
filo-israeliani) intendono percorrere od, almeno, così ci auguriamo che
continui ad essere in futuro.
Continuano le notizie non confortanti sulla intransigenza
israeliana e sullo sviluppo del processo di radicalizzazione palestinese, dentro
e fuori Israele. Se le incomprensioni dovessero continuare, sarebbe
inevitabile, secondo alcuni commentatori, la fine della strategia risalente
alla “Road Map”, rivolta a
creare, come abbiamo appena detto e ci auguriamo, due Stati moderni in Terrasanta.
Ne trarrebbero vantaggio tutti coloro, e non sono pochi, che credono nella
necessità di esistenza di un solo Stato per due popoli in Palestina ed Israele.
Con una importante differenza, che non
si manca di sottolineare: uno Stato ebraico con due popoli significherebbe un
grosso problema demografico arabo (esplosivo) all'interno delle proprie
frontiere: uno Stato islamico con due popoli significherebbe, non meno
dolorosamente, un grosso problema di identificazione di “cimiteri
sufficientemente grandi per accogliere gli ebrei” (Segre). In ambedue i casi non avrebbe
futuro il discorso fin qui svolto sulla cooperazione delle città e delle “città
storiche” prima di tutto.